Che cosa è accaduto a Bologna

28 Giu

di Giordana Masotto

Nella riunione di Bologna del 22 giugno, a un certo punto qualcuna ha usato la metafora del lievito. Diceva: non mi interessa fare un Paestum 2013, perché per me Paestum 2012 è come il lievito madre che ti porti nel tuo contesto per far crescere pratica politica. Un’altra, per sostenere il suo desiderio di fare Paestum 2013, ha ribattuto: ma il lievito madre muore se non lo rinnovi in continuazione.

È evidente che sono vere entrambe le affermazioni: il lievito madre è efficace anni e secoli se lo continui a far lavorare, ma muore se lo lasci a riposo. Quello che contrappone le due posizioni è la valutazione politica.

La prima giudica che a Paestum 2012 si è riconosciuta e affermata la vitalità di una pratica politica che dice: la radicalità nasce dal partire da sé e i soggetti sono irriducibili a un soggetto omogeneo collettivo. In questo sta il valore simbolico dell’evento Paestum. Ne consegue che è essenziale far crescere quella pratica là dove si è, perché è una pratica che ha bisogno di misurarsi con le situazioni e le esperienze concrete, di radicarsi nel processo di consapevolezza di ognuna: solo così può diventare più efficace. In questi mesi, dopo l’incontro nazionale di Bologna in occasione delle elezioni, non è accaduto nulla che renda necessario aggiornare a livello nazionale la natura di quella pratica politica.

La seconda posizione valuta insufficiente e carente l’esperienza di quella pratica fatta a Paestum e sente il bisogno di ripeterla, precisarla, innovarla. Sente l’urgenza di incontrarsi per continuare a fare esperienza di femminismo vivo e presente. Sente il peso della frammentazione. Ha fiducia di poter portare più donne e diverse a fare quell’esperienza attraverso un grande evento nazionale. Spera di poter arrivare a una forma di maggior coesione che porti a maggiore incisività: “per arrivare a definire anche pratiche e lotte comuni”.

A Bologna il confronto tra queste due posizioni – che ho volutamente sintetizzato – è stato assai vivace. E questo è un bene. Senza schieramenti compatti, ma con prese di posizione motivate, che sapevano sempre partire da sé. E con molte posizioni sfumate: alcune dicevano, ad esempio, io non sono particolarmente interessata a un altro Paestum, ma se c’è chi lo vuole, aderisco volentieri. Oppure chi auspica un altro passaggio simbolico importante, come Sara Gandini e Laura Colombo che propongono di aprire l’invito anche agli uomini.

A Bologna, alla fine, la mediazione – che in politica, se è vera mediazione, è sempre un guadagno – è stata trovata. Poiché la “posizione due” era sostenuta con particolare determinazione dalle donne più giovani e motivata anche con la necessità di focalizzare l’incontro sulle loro condizioni materiali, si è deciso di fare un incontro nazionale di tre giorni, organizzato e impostato dai gruppi più giovani (Femminileplurale, Altereva, e altri) che mettesse a tema reddito/lavoro/libertà.

Dunque non la ripetizione di Paestum, ma un altro passaggio simbolicamente importante, nato nel dopo Paestum: l’assunzione di nuova responsabilità – nella definizione del tema, nella stesura e firma dell’invito, nell’organizzazione – da parte di donne delle generazioni più giovani che esprimevano con forza un preciso desiderio. È un processo che inizia: non facile e non scontato. Io sono felice di parteciparvi.

2 Risposte to “Che cosa è accaduto a Bologna”

  1. PatCap 16 luglio 2013 a 11:01 #

    Un contributo politico sul filo della necessaria autonomia, partendo dal mio lavoro (o lavorìo), sempre aperto e vitale, nel confronto e nella ricerca continua tra donne (e uomini):

    “Per dare autonomia e spazio, soprattutto interiore, al simbolico femminile, occorre anche esprimere una certa autorità femminile nell’agio di una parola, priva della paura del rifiuto o del bisogno di accettazione e che, anche quando resta muta, non si pensi mancante per colpa altrui, ma percepisca il senso del proprio essere che vuole e può essere. Tale significanza passa attraverso l’altra non solo nella possibile alleanza sociale, ma proprio nella relazione, vissuta e diretta, da donna a donna, come forma di mediazione sessuata nel «gruppo separato delle donne, forma politica inventata con il femminismo [che] ha dato al sesso femminile esistenza sociale visibile e autonoma» (Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, p. 139). Ma, deve assumerne il senso. Non è in sé, o solo, l’albergo o il riparo separatista tra donne a rendere significante la differenza. Bisogna restituire, anche idealmente, potenza simbolica a quella figura materna dell’origine, spessa espropriata dal destino sociale femminile dominante.
    Af-fidarsi all’altra e fidarsi dell’altra, riconoscendola con tutto il dono della sua disparità e anche distanza, esprime una scelta, la svolta e la direzione di un percorso fruttuoso per l’universo femminile: «Il frutto simbolico dei rapporti fra donne entra nel mondo e mostra la sua origine. Mostra che il prima e più grande di una donna è ancora una donna, fin dall’origine» (ibidem, p. 139). Attraverso la ricerca filosofica, scrive Luisa Muraro, è possibile sì ricercare l’indipendenza simbolica dalla realtà data, ma pagando (per una donna) il caro prezzo del distaccamento materno, quasi un dislocamento irreversibile, nonostante lo stesso bisogno filosofico di andare e tornare, comunque e continuamente, al principio delle cose come ricerca, spesso disperata, dello stesso principio di realtà o del suo ritrovamento, proprio nel senso originario di essere.
    L’invito è a una cultura dei rapporti femminili che parta dalla parzialità esperienziale singolare per permetterne l’espressione, per cui la mediazione femminile, scrive sempre Luisa Muraro, appartiene al «registro del metonimico, ossia del rapporto in presenza, in combinazione, in prossimità […] [per la] traduzione di sé nel mondo senza dispersione di sé» (L’apprendimento dell’’incertezza, p. 87), anche se non ancora pienamente sufficiente. L’importanza di nominare la relazione tra donne e, allo stesso tempo, la forma dispari di tale relazione scompagina in modo decisivo la cosiddetta economia binaria tra corpo e pensiero, tra femminile e maschile. […]”

    (in Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima. La passione filosofica e la libertà femminile, Quodlibet 2009, 2011, pp. 89-90)

  2. Roxana Saavedra 6 luglio 2013 a 12:12 #

    Vorrei ricevere più notizie sui diversi comoitati e associazioni donne, m’interessa approfondire e svicerare tutte le problematiche che viviamo noi dinne e trovare insieme delle soluzioni rapide. lascio i miei dati spero di incontrarvi presto GRAZIE Roxana

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