VIVE
IN UN PANORAMA GRANDISSIMO
CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE
COL DESIDERIO
DI UN FEMMINISMO
PERMANENTE E SENZA FRONTIERE
VIVE
NEI CENTRI ANTIVIOLENZA DA 30 ANNI
NELLE NOSTRE GAMBE SCORRE
IL TEMPO
L’OGGI
IL FUTURO
A Paestum incontro nazionale il 4-5-6 marzo 2016
Tre giorni di confronto sulle letture del presente, sulla miopia della politica partitica, sull’anestesia narcisistica del corpo istituzionale, sul virale e strombazzante mutismo dei media. Nonostante il rimbombo mediatico sull’emergenza degli aspetti aberranti della relazione uomo-donna ci assorda il silenzio persistente della ‘normalità’ connessa al potere maschile.
Saranno tre giorni di passione e di proposte, da canalizzare in azioni e lotta politica, concentrate e diffuse su tutto il territorio nazionale.
Agli estensori furbi, ai sostenitori distratti del Piano Nazionale Antiviolenza diciamo che noi donne ci siamo, siamo qui e continuiamo a reggere il mondo e a contribuire a renderlo vivibile. Il dolore e l’onore delle donne sono ancora impercepiti e utilizzati per raffazzonare consensi.
Per questo la nostra presenza è stata ed è radicale, perchè radicale deriva da radice.
E’ radicale chi combatte e vuole mutare lo stato delle cose dai suoi fondamenti.
La violenza alle donne è alla radice dei rapporti tra femminile e maschile . E’ un humus divenuto vestito intimo e mantello che attraversa e avvolge politiche, saperi, istituzioni, economie.
Il Piano Nazionale Antiviolenza svuota e riduce a poca cosa la ricchezza, l’esperienza, la politica dei centri antiviolenza.
Non vengono riconosciuti e misurati lo spessore, la specificità e l’ampiezza della violenza alle donne, le misure di prevenzione e contrasto non visualizzano e riconoscono il valore della passione, dell’esperienza e del pensiero politico prodotti all’interno dei centri antiviolenza.
Oggi come ieri pretendiamo ancora ASCOLTO E RICONOSCIMENTO’.
Oggi come ieri prendiamo atto del nostro essere ‘vacanti’, sgombre, libere da ascolto.
Ciò può ‘mortificare’ ma al contempo fare luce su un vuoto che ‘resta’ incorrotto e fecondo.
L’ascolto delle ragioni, desideri, dei bisogni delle donne può essere corrotto.
L’inconsistenza degli spazi, aperti dai processi della ‘cosiddetta femminilizzazione della politica, il rumore mediatico, l’emergenziale assunzione di responsabilità pubblica e istituzionale, attraverso misure contro la violenza alle donne, quando non tengono in debito conto le ragioni e le vocazioni di libertà delle donne, fagocitano e distorcono la radicalità dei nostri pensieri e delle nostre pratiche politiche.
Questo tipo di ascolto piuttosto che risollevarci ci insabbia e ci costringe a un faticosissimo lavoro di decostruzione dell’ambiguità dei discorsi e ad una estenuante pratica di precisazioni.
Abbiamo, pertanto bisogno di prestare attenzione a quelle forme strumentali di ascolto e di lettura che, sovente, ci vengono restituite dalle istituzioni, dagli organi di stampa, dagli uomini, ma anche dalle donne, che esercitano, o vorrebbero esercitare, un ruolo di rappresentanza politica.
Oggi vorremmo essere ironiche e divertenti, addirittura comiche, forse un po’ lo siamo, visto che da oltre un trentennio reggiamo le sorti dell’azione politica di prevenzione e contrasto alla violenza alle donne sul territorio nazionale.
Il nostro impegno é l’esito incompiuto di un grande desiderio, di un disperato ottimismo e di una visione radicale di cambiamento. E’ un desiderio trasversale che ha corso e corre ancora nella vita di centinaia di donne, tanto diverse tra di loro ma unite da questo filo. Questa nostra sensata e realistica radicalità continua a fare i conti con assenze e disattenzioni, con classi dirigenti mediocri o peggio.
Per oltre trent’anni anni, oltre che configurarci come il primo e spesso l’ultimo presidio territoriale di concreto sostegno psicologico e legale alle donne maltrattate, senza il quale l’intervento degli altri soggetti sociali coinvolti è insufficiente, abbiamo tentato estenuantemente un dialogo con le istituzioni.
E’ stato ed è un dialogo marcato dall’autonomia di pensiero, da un disincantato realismo e dalla forza della nostra quotidiana pratica politica e culturale. L’abbiamo costruita piano piano, attraverso la relazione con le donne. L’abbiamo costruita dentro la prospettiva di una cultura in cui la parola libertà delle donne non faccia a pugni e coltellate con la parola rispetto.
Raramente abbiamo incontrato, anche nelle donne che svolgono incarichi istituzionali, la coerenza di un desiderio di cambiamento. Ci siamo più spesso imbattute con la rimembranza a singhiozzo di un dovere a cui è sconveniente sottrarsi. Per molte esponenti politiche impegnarsi seriamente, con azioni di prevenzione e contrasto alla violenza alle donne, è un increscioso obbligo, imposto dall’essere donna e dalla funzione pubblica che esercitano, fino a qualche anno fa, rigorosamente asessuata.
Oggi la funzione pubblica è demagogicamente annacquata in una visione ‘politicamente corretta’ ma ipocrita, che ingloba i pregiudizi sulle ‘attitudini femminili’ alla mediazione e alla cura, gli riconosce valore e vorrebbe sfruttarli istituzionalmente. Tuttavia questa femminilizzazione dello spazio pubblico, con tutti i limiti di lettura della soggettività femminile, rimane quasi sempre solo verbale e non riduce la marginalità delle donne.
Quando si sente parlare di lotta alla violenza alle donne, la società civile e le istituzioni esibiscono pubblicamente un’allarmata preoccupazione.
Gli uomini politici rilasciano dichiarazioni contro gli esemplari mostruosi del proprio sesso e sulla necessità di interventi mirati.
Nonostante il rimbombo mediatico sull’emergenza degli aspetti aberranti della relazione uomo donna ci assorda il silenzio persistente della ‘ normalità’ connessa al potere maschile.
In nome di leggi e legacci legislativi continuano a compiersi enormi ingiustizie, si accumulano ritardi, si dirottano risorse preziose verso mete sconosciute. Questa vergognosa modalità pascola sulla consolidata convinzione che continueremo a riempire di vita i tempi morti del sostegno e delle responsabilità istituzionali.
A questa estenuante discontinuità di riconoscimento e nell’erogazione dei fondi abbiamo opposto la continuità della nostra resistenza. La nostra scelta viene confusa e considerata come una nostra ineluttabile necessità, come una ‘cosa di donne’ ad esclusivo appannaggio delle donne. Le istituzioni prendono tutto il tempo che ritengono opportuno e anche di più, ci chiedono di aspettare, di pazientare.
E noi abbiamo pazientato e abbiamo resistito perchè ‘siamo donne di parola’.
Ci siamo industriate in ogni modo per distillare, creativamente e responsabilmente, energie da una realtà ‘squilibrata’ come questa.
La violenza contro le donne, quella che oggi viene ritenuta un’emergenza sociale, quasi come il terremoto o le alluvioni, prosegue il suo inesorabile cammino e i tanti riflettori accesi su di essa non ne riducono la portata.
Il nostro lavoro non dovrà essere esautorato o stravolto.
Noi, simbolicamente, consegniamo al Governo e alle istituzioni questo luoghi. Rimettiamo a voi i vostri debiti.
Questa non è una supplica, bensì un accredito di responsabilità
La responsabilità dei centri antiviolenza e delle donne che a noi si rivolgono vi appartiene, vi riguarda. Appartiene alla società civile e alle istituzioni.
Ogni volta che si contribuisce a cambiare o a salvare la vita di una donna si cambia o si salva il mondo, perchè ogni donna è un mondo. Ogni volta che viene mortificata, maltrattata e uccisa una donna, viene mortificata, maltrattata e uccisa la società e la civiltà.
l’Italia è ancora il primo paese in Europa per i casi di violenza sulle donne.
I femminicidi non sono un destino iscritto nella vita delle donne ma cronache di morti annunciate nel vuoto politico. Il femminicidio è il culmine di una serie di maltrattamenti e abusi. Le donne uccise rappresentano la punta dell’iceberg del dominio diffuso di un virilismo mortifero e guerrafondaio.
IL FEMMINICIDIO rappresenta il lavoro sporco di una maschilità coriacea incapace di cambiare. La mano che si leva sulla donna è l’artiglio del controllore che vigila sulla nostra liberà e maschera l’impotenza del confronto civile.
La maggioranza degli uomini, i nostri mariti, i nostri amici, i nostri figli, sia di destra che di sinistra, non sentono il bisogno di riflettere e interrogarsi sull’immaginario sessuale maschile, sulla complessità problematica della costruzione del proprio genere, non prendono pubblicamente le distanze dalla violenza sulle donne, a partire dagli aspetti, apparentemente più innocui, meno gravi, come la mercificazione del corpo delle donne, il linguaggio sessuato, l’immaginario maschile, gli stereotipi su forza e debolezza, le molestie, il loro stesso silenzio. Gli uomini che hanno avviato una riflessione critica e profonda su queste questioni su contano sulla dita di una mano. Tutti gli altri nella maggior parte dei casi si limitano ad esibire un protagonismo (minimale rispetto a quello speso sul versante della politica) con retoriche dichiarazioni di solidarietà e appoggio. La resistenza e la sordità a queste questioni, il vuoto di pensiero e di azione politica maschile, la mancanza di volontà ad assumere la questione del rapporto tra i sessi, in tutta la sua portata culturale e politica, si traducono in connivenza con la violenza, in un incisivo contributo alla riproduzione ininterrotta della relazione con la donna, come terreno e oggetto di scontro.
Come donne dei centri antiviolenza ci autoriconosciamo una storia di impegno pluridecennale, in cui sono confluite e dai cui si riverberano cultura politica, sapienza, passione, voglia di liberazione e di libertà.
Sono vissuti e riflessioni che fanno riferimento sia all’attività specifica di questi luoghi ma anche a un orizzonte più vasto che, a partire da una prospettiva relazionale non violenta, fra uomini e donne, prefigura un cambiamento rivoluzionario, già variamente espresso e declinato anche all’interno dei movimenti femministi, italiani e trasnazionali.
Abbiamo intrecciato il pensiero delle altre alla nostra pratica quotidiana di accoglienza. Oggi chiediamo alle singole donne, ai gruppi, alle associazioni, e alle istituzioni di lasciarsi contaminare dal nostro desiderio di lottare per continuare a costruire insieme dei percorsi di libertà.
I centri antiviolenza non sono soltanto luoghi in cui si difende il desiderio di liberazione delle donne e in cui si attacca il pensiero e l’agire che lo vorrebbero sotto scacco.
Sono, i luoghi, i tempi, le relazioni, le speranze, sono le cellule eccentriche di una rinascita umana in perenne costituzione.
Sono soprattutto un presidio di autonomia di pensiero, e di caparbia volontà, tesa ed applicata alla costruzione armoniosa del mondo.
Dai luoghi della politica, che sono ovunque, e di cui le istituzioni sono solo un tassello, ci alziamo in piedi, riavviamo il nastro della coralità delle nostre proposte, ci cerchiamo reciprocamente.
Lo srotoleremo sotto il naso delle italiane e degli italiani, e resteremo lì, nelle città, nelle capitali, nei piccoli paesi del sud, del nord, delle isole, a presidiare l’ attenzione di ognuna, di ognuno.
La nostra risposta all’indifferenza e alle briciole di credito che le istituzioni dimostrano troverà ancora la sua linfa nella relazione tra donne, nella ricerca e nella pratica di una nuova-creativa-resistenza attiva, dentro le case, nei luoghi di lavoro e di non lavoro, nelle strade, fuori e dentro i palazzi del potere.
Vogliamo rivedere organizzata e unita l’antica, perpetua e risorgente vitalità delle donne, delle femministe, delle precarie, delle insegnanti, delle lesbiche, delle casalinghe, delle migranti, delle disoccupate, delle artiste, delle bambine……..
Centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino
di Cosenza
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