Prove di forza. Noi e loro

16 Ott

Viola Lo Moro

Parto da un piccolo fatto di cui sono stata protagonista questa mattina. Ero in motorino, tornavo a casa da un po’ di giri per il quartiere. Abito a Roma, al pigneto, un quartiere da qualche anno diventato “giusto”. Casa mia, o meglio, la casa in cui sono in affitto è messa in modo tale per cui per arrivarci bisogna percorrere o una grande strada, o una vietta che sbuca appunto sulla grande strada. Sulla grande strada però converge anche un’uscita della tangenziale, le macchine si parcheggiano in fila in modo tale che tutte le volte che provo ad arrivare dalla piccola strada alla grande sono costretta a fare 2 o 3 metri contromano per arrivare finalmente a issare il motorino sul cavalletto nell’unico posto possibile che non dà noia ai passaggi di carrozzine o passeggini. Oggi mi sono trovata, mentre tentavo di non far cadere nessuna delle duecento buste dalle mie mani, mentre effettuavo l’operazione della catena, la guardia di finanza davanti. Una volante si è fermata bloccando il traffico e un agente dall’aria piuttosto sicura di sé mi ha detto: “Adesso fai il giro dalla parte giusta.” E io: “ Guardi, abito qui, non sto facendo il giro, sto tentando solo di parcheggiare.” E lui: “Ah, forse non parlo italiano? Fai il giro.” E io: “Guardi, non devo fare nessun giro, abito qui, ho dovuto fare un pezzetto (2 metri giuro) contromano perché le macchine sono parcheggiate così, guardi…”

“Allora, non mi sono spiegato. Fai il giro oppure te lo scrivo sul verbale, vuoi? Preferisci così?”

E io: “Guardi agente, va bene, faccio il giro.” E a questo punto sorrido, levo la catena, scavalletto il motorino, faccio 2 metri, e mi riparcheggio ridendo.

Lui stava per scendere dalla macchina ma il collega lo ha fermato, e sono passati oltre. Ridevo ma mi tremavano le gambe. Poi ho pensato: andate a fare il lavoro vostro con chi ruba davvero (in romano stretto), poi ho pensato anche che sono due anni che la guardia di finanza irrompe nell’appartamento abitato dai senegalesi qui vicino, sequestra loro un po’ di merce (borse o portafogli contraffatti), li porta dentro, a volte li mena un po’, spesso prende da loro il guadagno del mese. E sono due anni che appena arrivano tanti e tante del quartiere scendono per strada e si mettono in mezzo, urlano, contrattano, fanno corpo unico.  E poi ho pensato anche: è tutta la vita che mi danno del tu perché sono una ragazza giovane.

Cosa c’entra tutto questo con Paestum? Era da un po’ che mi risuonavano in testa due cose da dire. Uno: ho un problema con questo “noi”, l’ho sempre avuto (“noi giovani”, “noi precarie”, forse anche “noi donne”, “noi lesbiche”), e due: mi continuano a rigirare in testa le parole di Luisa Muraro, al di là dei conflitti, delle arrabbiature e dei riconoscimenti reciproci, nel famigerato gruppo 9, che sembrava chiederci: chi sono poi loro? Quelli contro cui lottare per avere condizioni di vita migliore, di lavoro? A chi lo state chiedendo?

Ho un problema con “noi” giovani così come ho un problema con questo “voi” femministe storiche perché: annulla le differenze di percorsi individuali, generalizza e semplifica sia le diverse forme di femminismo storico che si sono articolate negli anni, sia le diverse forme di femminismi più recenti e, infine, non riconosce l’enorme difficoltà all’interno degli stessi gruppi generazionali di capirsi, di non litigare su tutto, della frustrazione continua di non riuscire a cambiare mai niente.

Eppure spesso c’è bisogno di un “noi”. C’è stato bisogno a Paestum di dire: noi giovani abbiamo l’urgenza di parlare di lavoro, di precariato, abbiamo bisogno (sottotesto forse che ho capito solo io) di trovare in voi una sponda per lottare, abbiamo bisogno della vostra autorità, delle vostre intelligenze per andare avanti, abbiamo bisogno che siate un “voi vicino a noi”. E se non ci sarete forse andremo avanti da sole. Poco importa se questo ha portato per un attimo magicamente ad annullare il fatto che io non sia convinta del reddito di esistenza, che lo vogliamo chiamare già in 4 modi differenti, poco importa se facevamo riferimento ad associazioni, linee di pensiero politico-economico, partiti, gruppi, che passano tre quarti del loro tempo a smontarsi a vicenda, poco importa.

E qui mi viene spontaneo passare al loro. Loro esistono, non sono questa massa informe di “altri” che la retorica dominante ci propone solitamente come arabi e arabe, come cinesi, come transessuali, come le brutte, le grasse, le troppo belle, le rivoltose che spaccano le vetrine, non sono loro. E non sono neanche, e qui parlo a tutte le mie compagne coetanee che dicono troppo male di Paestum anche se continuano a fare tante lotte che io mi sento di condividere, tutte quelle che sono un po’ più borghesi del dovuto, o un po’ più bianche, o un po’ troppo intellettuali, e un po’ poco disposte a volte ad essere in primissima linea, poco “eroiche” e urlatrici. Loro sono quelli e quelle che stanno alla dirigenza di questo paese, che infestano le dirigenze dei partiti, che strillano in parlamento, loro sono quelli che continuano a tagliare i costi del lavoro, loro sono i/le dirigenti sindacali che millantano scioperi generali e non ne fanno mai uno perché aspettano che c’hanno da dire i partiti, loro sono quelli che se vuoi abortire ti rendono la vita impossibile, e forse sono gli stessi che se vuoi invece avercelo un figlio non ti sanno dire come cavolo fare con le spese, i servizi, la scuola, la mensa, se poi sei lesbica o single lasciamo proprio stare, loro sono i leader di confindustria che parlano di imprenditoria e se si prova poco poco ad aprire un’impresa piccola e onesta ti mangiano in faccia, anzi ti mangiano la faccia, loro sono quelli che guadagnano troppo e che non sono disposti a rinunciare a niente, loro sono quelli che sostengono che la testimonianza di una prostituta su una violenza sessuale non vale niente perché è una prostituta, loro sono quelli che condannano quelle che esagerano perché non hanno decoro e poi dicono che va bene molestare una sottoposta a lavoro perché aveva i tacchi alti e la gonna troppo corta, loro sono quelli che raccontano questa crisi nei giornali, che ci rincoglioniscono di distrazioni, di parassiti (come se il problema fossero i finti ciechi) e non che tutti gli appalti statali sono infestati di mafia, camorra, ‘ndrangheta, loro che non vogliono spostare di una virgola quello che c’è. Loro che da questa crisi stanno continuando a guadagnare.

E le femministe cosa c’entrano? Le femministe, noi, c’entriamo sempre. Perché siamo state spettatrici dello sfacelo ma non ci siamo per niente arrese. Perché proviamo ad avere delle pratiche che spostano sempre l’attenzione dal dialogo alla relazione, perché sappiamo che c’è una disuguaglianza endemica nella civiltà, e qualcuna di noi sa anche che soprattutto non è l’unica. Che se non continuiamo a fare un lavoro serio di intersezione tra sessismo, classismo e razzismo in questo paese non ci si capisce più niente. Che non basta essere donne per essere migliori, ma che proprio perché si è donne bisogna sempre dimostrare di essere migliori. Io mi sento stroncata a volte, paradossalmente proprio dalle amiche più vicine, ma non mi sento arresa.

E allora torniamo all’inizio: quando la guardia di finanza è andata via, ho alzato gli occhi, avrei voluto che ci fosse stata una qualunque di voi a guardare, a rispondere. Perché è vero che poi magari avremmo discusso un’ora se urlare o se menare o se andare alla polizia o se rivolgerci ad un collettivo di compagne o giornaliste, ma intanto ci sarebbe stata una risposta forte, immediata, comune. Allora, quello che penso alla fine della fiera è che ci sono delle battaglie che si possono fare insieme anche se veniamo da percorsi diversi e anche se non cambieremo mai idea su delle questioni di fondo. Anzi, questo l’ho sempre pensato. La differenza ora è che non solo possiamo, ma dobbiamo. Dobbiamo perché, come dicevamo con una compagna di Roma, abbiamo una responsabilità enorme; perché sappiamo che andrà sempre peggio. Abbiamo gli strumenti e la sensibilità per sentire l’orlo del baratro ma anche le piccolissime variazioni di corrente, i piccolissimi spostamenti positivi, le piccole enormi lotte quotidiane.

Pragmaticamente cosa bisogna fare? Organizzare incontri e assemblee trasversali, locali e nazionali, e magari internazionali, continuare a discutere, a formarsi (ci sono fior fiori di economisti ed economiste che propongono modelli diversi), e poi provare ad esserci tutte (in presentia o virtualmente) nelle lotte delle altre compagne. Non tutte possiamo fare tutto ma tutte possiamo fare da cassa di risonanza.

4 Risposte to “Prove di forza. Noi e loro”

  1. annamaria medri 17 ottobre 2012 a 10:34 #

    splendido questo articolo, vitale e intelligente. condivido proprio perchè ho 63 anni. è necessario costruire delle pratiche comuni tenendo presente il conflitto e le diversità.

  2. Donatella Proietti Cerquoni 16 ottobre 2012 a 13:31 #

    Sono d’accordo nella ricerca di una trasversalità piena di senso, come la intendi tu, Viola, nelle differenze che sono davvero molte e che non vanno cancellate ma portate alla consapevolezza rispettiva e reciproca, grazie per averlo fatto con questa passione e con tanta chiarezza.
    Ciò di fronte al quale, dunque, possiamo e dobbiamo trovare un modo comune di agire è il potere, nella sua forma violenta ma in qualsiasi veste esso si presenti e ci imponga ingiustizie. Questo ci rende “contemporanee” : ciascuna con la sua capacità di percepire le ingiustizie, con la sua conoscenza delle manifestazioni del potere patriarcale, ognuna disposta a mettere a disposizione ciò che sa e può per un obiettivo, dai molti risvolti, che ci è comune.

  3. sergio falcone 16 ottobre 2012 a 11:57 #

    Che il Pigneto sia diventato un quartiere “giusto”, beh, su questo non sono proprio d’accordo.
    Dopo aver aggredito il quartiere di San Lorenzo, la speculazione ha colpito anche il Pigneto. Speculazione fatta anche di locali, localini, localetti e ritrovi che, anche se dipinti coi colori della compagneria residuale, basano anch’essi la loro esistenza sul bieco profitto.
    Il Pigneto non è affatto un’isola felice e, come San Lorenzo, ha perso la caratteristica di zona popolare. Provatevi voi ad avvicinarvi ad un qualsiasi appartamento dato in affitto oppure in vendita. I prezzi sono finiti alle stelle. E, come si dice a Roma: “Poveraccio chi ce capita!”.
    Roba da radical chic, annoiati, malati di snobismo e di supponenza, e col portafoglio gonfio di denaro.
    A quando l’aggressione della zona vecchia, della parte più bella del Quadraro? Anche Garbatella è a rischio, però! Si accettano scommesse…
    Sull’atteggiamento che spesso vien messo in campo dalle forze dell’ordine che, a vario titolo, percorrono la città di Roma, già tanto s’è detto. Aggiungo soltanto un fatto: per aver soccorso un immigrato del Bangladesh che vendeva “abusivamente” ombrelli nella zona di Campo de’ Fiori, mi sono beccato una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale. Reato ripristinato dal passato governo Berlusconi. Come al solito, è facile prendersela col più debole.
    Nella società nella quale ci agitiamo, sembrerebbe esserci una maggiore attenzione per tutto. E lo spazzino non viene chiamato più spazzino ma “operatore ecologico”. E c’abbiamo pure la legge sulla privacy. E se vi provate ad avvicinarvi al canile municipale a salvare una povera bestia dal recinto, e dalle condizioni di vita in cui giace, vi fanno il terzo grado, e il quarto pure, nemmeno si trattasse dell’adozione d’un bimbo, che so, vietnamita.
    Ma nella società che sopportiamo crescono l’egoismo e il degrado. Nuove alienazioni e nuove povertà. E il collante di tutto questo non è che l’ipocrisia che da sempre condisce la Storia del genere umano.
    L’alternativa a tutto questo?… Non la conosco. Ho assistito e ho partecipato alle grandi speranze degli anni passati. Poi ho scoperto che neanche la Sinistra, in tutte le sue frammentazioni, ha le carte in regola.
    Spero soltanto, e con tanta, tanta ironia (e disperazione), che una qualche divinità abbia pietà di noi.

    • viola 16 ottobre 2012 a 12:46 #

      “giusto” era ironico!
      grazie per la precisazione.
      viola

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